#VG: Danganronpa, murder mystery con stile #DOKTOR

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Di solito non scrivo di giochi, ci sono già tanti altri che lo fanno. Ma dopo aver concluso il capitolo finale di questa serie sento il bisogno di darle il giusto spazio, visto che in anni da ascoltatore di podcast mi pare di non averla mai sentita nominare (e ne ascolto parecchi). Tuffiamoci quindi nel folle mondo di Danganronpa.

Si parla di visual novel, non di quelle pure dove c’è solo da leggere (e fare delle scelte ogni tanto) come Steins;Gate, Fate/Stay Night o Clannad, ma del tipo ibrido, con delle effettive parti di gameplay (seppur limitato) come gli Ace Attorney o gli Zero Escape. E non nomino queste due serie a caso, in quanto sono proprio le più vicine a Danganronpa come struttura e narrazione (chi è già estimatore di quelle molto probabilmente apprezzerà questa, e viceversa).

In ognuno dei tre capitoli di questa serie, a partire da Trigger Happy Havoc, la trama vede un gruppo di studenti di un’accademia d’elite (ciascuno dotato di un particolare talento) preso in ostaggio dal sadico orsetto meccanico Monokuma, che li costringe ad un gioco mortale: l’unico modo per essere liberati è uccidere uno dei propri compagni senza farsi scoprire dagli altri. Dovremo quindi risolvere i vari casi di omicidio che si susseguiranno durante i "processi di classe" e nel mentre indagare anche sui misteri che circondano Monokuma e il luogo dove ha intrappolato gli studenti.   

Il primo episodio scorre piacevolmente con qualche ingenuità e alcuni casi un po’ troppo prevedibili, ma è con i seguiti che le cose si fanno veramente interessanti. Danganronpa 2: Goodbye Despair lima i difetti del predecessore e gioca molto con le aspettative di chi viene dal primo.

Danganronpa V3: Killing Harmony si spinge ancora più in là arrivando, tra colpi di scena e contro-colpi di scena, ad un finale geniale che chiude tutta la serie probabilmente nel migliore dei modi (anche se parecchi non hanno apprezzato).

Entrambi costituiscono a mio avviso degli splendidi esempi di metanarrativa videoludica. 

Come scrittura in generale Danganronpa è leggermente inferiore alle due serie con cui è imparentato (Ace Attorney e Zero Escape sono degli orologi svizzeri da questo punto di vista), ma ci sono due aspetti in cui spicca nettamente: il cast dei personaggi e lo stile.

Ogni capitolo riesce a rendere memorabile una quindicina di personaggi grazie ad un incisivo character design e alle loro forti personalità: all’inizio possono sembrare dei classici stereotipi, ma quando le cose cominciano a precipitare rivelano un’umanità e una profondità che non ti aspetti.

Lo stile poi è semplicemente stupendo: dagli sfondi che si aprono come diorami, alle musiche trascinanti, alla composizione stessa dell’interfaccia e dei testi. Tutto ciò viene esaltato soprattutto nei processi di classe, le parti più "gameplayose" e il cuore di tutto Danganronpa (sono anche le uniche interamente doppiate, in giapponese o inglese). Andate al minuto 5:00 del video qua sotto per una dimostrazione.   

Quindi, se non vi dispiace leggere tanto (e in inglese, perchè solo il primo per ora ha una traduzione fanmade) e vi interessa questo tipo di storie interattive con misteri da risolvere (in un contesto più o meno macabro, ma ricco di humour e situazioni esilaranti, come solo i giapponesi sanno fare), trovate l’intera serie su Steam, PS4 e PS Vita (ironicamente la versione migliore, perchè la portabilità è molto comoda con questo tipo di giochi). Se volete prima fare una prova su Steam c’è una comoda demo dell’ultimo capitolo, completamente spoiler free (ha un caso di omicidio inventato rispetto al gioco vero).

Divertitevi, e attenzione se cercate informazioni online: gli spoiler sono dietro l’angolo e possono rovinare davvero l’esperienza. Io intanto guardo con molta curiosità a quello che verrà fuori dal nuovo studio Too Kyo Games, fondato insieme dagli ideatori di Danganronpa e Zero Escape: le premesse per qualcosa di interessante ci sono tutte.

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